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agordo - Miniere di Valle Imperina

Agordo – Le miniere di Valle Imperina

Agordo – Le miniere di Valle Imperina

Le montagne ci riservano sempre luoghi affascinanti e poetici, a volte malinconici, che val la pena di scoprire. Ci son posti che raccontano la loro storia e la vita di tutti gli uomini che hanno vissuto per essi.

L’itinerario questa volta ci porta alla scoperta delle miniere di Valle Imperina, nel comune di Rivamonte Agordino, sull’alveo del fiume Cordevole. Passeggiando lungo la strada, conosciuta come il “sentiero della montagna dimenticata”, possiamo vedere edifici ormai diroccati che il tempo e le intemperie hanno levigato lasciando quel senso di grande desolazione e di abbandono. Il silenzio è interrotto solo dal rumor dei passi e dallo scricchiolio delle foglie sotto di essi. Ed ecco che ci imbattiamo nel grande edificio dei “Forni Fusori”, oggi sede museale. Immediatamente riporta alla nostra memoria quella storia lontana che ci racconta della Vallata Agordina, orribilmente deturpata e completamente spoglia di alberi e vita.

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Forni Fusori – Miniere Valle Imperina

Le ricchezze minerarie di Agordo

La scoperta dei giacimenti metalliferi, in questa zona, è antica ma non abbiamo una data certa. Lo storico secentesco Giorgio Piloni parla, nei suoi scritti, delle ricchezze minerarie di Agordo,  quando vennero scoperti numerosi giacimenti di ferro, rame, piombo, zinco e argento proprio in questa valle, e non solo, anche nello Zoldano e nel Cadore. La prima notizia documentata, sull’attività estrattiva della miniera, risale al 1417. Qui, fino alla metà del XVII secolo, le miniere venivano lavorate da imprenditori privati tra cui vanno ricordati i membri della famiglia Crotta che, proprio nel Seicento, diedero un forte impulso alle attività minerarie, grazie all’introduzione della polvere da sparo. Alla fine del Seicento le miniere iniziarono ad essere amministrate dalla stato della Serenissima, ma la situazione di chi lavorava non era di certo favorevole. Nonostante il passare degli anni lo storico Zannini, ancora nel 1852, ci descrive la situazione orribile in cui versavano i lavoratori:

la via pittoresca […] riesce dal campo arido della R. Miniera di rame

in Val Imperina. Dove tra le fabbriche ricolme di carboni e ardenti di fuoco,

sopra la terra di ogni vegetazione e rotta da rigagnoli d’acqua giallastra, sotto un

aere nebbioso e putente di fumi zolfosi ed in presenza di uomini anneriti da’

carboni de da’ forni, chi giungeva nuovo alla vista improvvisa, impallidisce[1].

Pensiamo ai rumori dei martelli contro le rocce, alle grida degli uomini e ai loro lamenti di sofferenza. Il fuoco di quell’inferno bruciava la pelle e il sudore scendeva lentamente solcando le rughe presenti sul viso di quegl’uomini che, pur di sfamare la famiglia, erano disposti a perder la vita. I fumi penetravano nei polmoni, il respiro veniva meno e la morte era sempre pronta ad attenderli. Cinque secoli di storia senza che nulla cambiasse. Durante l’Ottocento queste miniere iniziarono a perdere la loro importanza principalmente per due fattori: il primo causato dalla destabilizzazione della politica, dopo la caduta della Serenissima, e in secondo luogo per la convenienza economica del materiale che arrivava da oltre oceano. La produzione mineraria continuò comunque fino alla metà del Novecento, dapprima con la direzione da parte della Montecatini e successivamente per mano della Montedison. Continuò ad esser estratta la pirite e venir prodotto l’acido solforico.

Sempre nel Novecento, furono costruite delle centraline idroelettriche ed una linea ferroviaria privata. Il centro minerario fu totalmente abbandonato nel 1962. Tutta la zona fu comunque recuperata ed oggi è sede museale.

Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi

Questo centro minerario è uno dei punti focali del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi. Vi è la possibilità di effettuare camminate attraverso la “Via degli Ospizi” o attraverso  l’escursione ancor più impegnativa denominata, appunto, “la montagna dimenticata”.

Oggi possiamo vedere una realtà che per molti secoli ha fatto parte della storia di Agordo e dell’Agordino.  Questo ci permette di ricostruirne la storia e ci insegna a non dimenticare il passato perché le montagne stesse non dimenticano e nei loro eterni silenzi vi è tutta una vita, anzi milioni di vite.

[1] G. ZANNINI, Agordo e la sua chiesa, Agordo 1852, (riedizione 1978), p.3.

M .J. GAIARDO, L’Agordino e la sua storia attraverso le carte geografiche, Istituto di Ricerche Sociali e Culturali, serie <<Varie>> n°52, Tipografia Piave, Belluno, p.95.

Mariangela Bognolo

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Laureata in storia delle arti e conservazioni dei beni artistici.